LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di remissione alla Corte
costituzionale sui giudizi di conto, iscritti ai nn. 16030/G.C.E.L. e
16031/G.C.E.L.  del  registro  di  segreteria  ed aventi ad oggetto i
conti  giudiziali,  relativi  agli esercizi 2002 e 2003 del Tesoriere
del  comune di L'Aquila, per i quali e' disposta la riunione ai sensi
dell'art. 274 c.p.c.;
    Uditi,   nella  pubblica  udienza  in  data  5  aprile  2006,  il
Magistrato  relatore,  dott. Giacinto  Dammicco, ed il rappresentante
del pubblico ministero, dott. Eugenio Musumeci;
    Esaminati gli atti ed i documenti.

                          Rilevato in fatto

    Con  relazione  156 del 22 giugno 2005 il mag. relatore sul conto
del  Tesoriere  comune  dell'Aquila  ha  chiesto  al presidente della
sezione  che  fosse  rimesso  al  Collegio  il giudizio sul conto del
Tesoriere   del   comune   relativo,   all'esercizio  2002,  mediante
iscrizione a ruolo ai sensi dell'art. 30 del r.d. 13 agosto 1933.
    Con  decreto  presidenziale datato 21 settembre 2005 l'udienza e'
stata  fissata  ad  oggi  5  aprile  2006, dandone comunicazione agli
interessati in uno alla relazione del predetto magistrato.
    Le risultanze della suddetta relazione sono le seguenti:
        nel   titolo   I   delle  entrate  risultano  residui  attivi
conservati    e   staziamenti   definitivi   di   bilancio   pari   a
Euro 52.911.762,29 e riscossioni pari a Euro 28.654.921,51 (54,16 %);
nel   Titolo   II   delle  entrate  risultano  residui  conservati  e
stanziamenti  definitivi  di  bilancio  pari  a  Euro 35.721.821,61 e
riscossioni pari a Euro 16.060.221,20 (44,96 %); nel Titolo III delle
entrate  risultano  residui  conservati  e stanziamenti definitivi di
bilancio  pari  a  Euro  16.722.078,56  e  riscossioni  pari  a  Euro
5.583.558,90  (33,39 %); nel Titolo IV risultano residui conservati e
stanziamenti  definitivi  di  bilancio  pari  a  Euro 48.457.085,00 e
riscossioni  pari  a  Euro 5.803.439,23 (11,98 %); nel Titolo V delle
entrate  risultano  residui  conservati  e stanziamenti definitivi di
bilancio   pari   a   Euro  5.989.836,25  (7,40  %);  la  percentuale
complessiva di riscossione delle entrate in bilancio e' del 26,45 %;
        negli  stanziamenti  definitivi  di bilancio risulta prevista
un'anticipazione di tesoreria pari a Euro 12.048.043;
        risulta  trasmessa  la documentazione relativa ai conti degli
agenti contabili ma non il conto;
        risultano  interessi passivi ed oneri finanziari diversi pari
ad Euro 5.652.502,16; oneri straordinari della gestione corrente pari
a  Euro 8.548.910,90 nei residui conservati, Euro 10.088.923,55 negli
stanziamenti  definitivi  di bilancio, risultano pagati dal tesoriere
Euro 5.816.113,08;
        risultano   incarichi   professionali  esterni  pari  a  Euro
1.460.035,45   nei   residui   conservati,  Euro  1.407.345,47  negli
stanziamenti  definitivi  di bilancio, risultano pagati dal tesoriere
Euro 15.517,06;
        non  risulta  allegata  la  deliberazione di approvazione del
rendiconto,  ma un verbale di deliberazione del consiglio comunale di
approvazione dei conti degli agenti contabili, compreso il tesoriere.
    Con  relazione  n. 157  del  22  giugno  2005 il mag. relatore ha
chiesto  la remissione al collegio anche per l'esercizio 2003, per il
quale    sono    sottolineate   analoghe   criticita',   con   valori
sostanzialmente equivalenti all'anno precedente.
    In  date 10 marzo, 28 marzo e 31 marzo 2006 il comune dell'Aquila
ha  trasmesso  documenti  e relazioni in risposta ai suddetti rilievi
evidenziando  che  sui  residui  attivi e' in corso una operazione di
riaccertamento  che ha gia' portato alla eliminazione di alcune voci,
in quanto trattatasi di residui insussistenti (tra i quali ad esempio
un  credito  nei  confronti  della Co.Ge.Ri. per oltre 11 miliardi di
lire),  con  rideterminazione  dell'avanzo  di amministrazione. Per i
debiti  fuori  bilancio  viene  affermato che essi spesso risalgono a
precedenti  gestioni,  che sono ingenti e che risultano alla presente
gestione  imprevedibii  (letteralmente,  «spuntati  come funghi»). In
ordine   ad  eventuali  oneri  per  anticipazioni  di  tesoreria,  ha
affermato   la   assenza  del  ricorso  a  tale  strumento  e  quindi
insussistenza  dei  relativi  oneri.  E'  pervenuta  a questa Sezione
Giurisdizionale  altresi'  una nota del Vice Presidente del Consiglio
comunale  che  evidenzia  la  contrazione,  negli esercizi all'esame,
della  quota  di residui attivi incassati, e viceversa un aumento dei
residui  passivi  pagati;  vengono  allegate  segnalazioni e denunzie
relative  al  servizio  di  Tesoreria, per operazioni di cassa a fine
esercizio intese ad alterare le risultanza dei conti, e alla adozione
di delibere in materia finanziaria non conformi al parere dell'organo
di  revisione;  vengano  poi  sottolineato le carenti formalizzazioni
relative  alle  esposizioni  del  comune  per  il finanziamento della
Istituzione  per  le  celebrazioni  della Perdonanza. Vi si chiede in
sostanza  che  in  questa sede intervenga pronuncia accertativa sulla
consistenza  dell'avanzo  di  amministrazione,  previa verifica della
attendibilita'  dei  residui attivi ed accertamento della inesistenza
di debiti fuori bilancio, non giustificati.
    Nell'Udienza  in  data  odierna  il  rappresentante  del pubblico
ministero  ha  preso  atto  delle anomalie evidenziate negli atti del
giudizio,  riservando alla Procura eventuali seguiti di competenza in
ordine  alla  esistenza di eventuali fattispecie di responsabilita' a
carico degli amministratori, al momento della remissione alla Procura
medesima  degli atti in questione e concordando peraltro con i dubbi,
sollevati  nella  relazione,  di  costituzionalita'  dell'intervenuta
normativa  che,  avendo  limitato  la pronuncia alla sola gestione di
cassa,   preclude   oggi   al   giudice  contabile  di  accertare  la
effettivita' del risultato di gestione.

                            D i r i t t o

    1. - Preliminarmente viene disposta la riunione dei giudizi 16030
e  16031  ai  sensi  dell'art. 274  c.p.c.,  per  evidenti  motivi di
connessione,  trattandosi  dei  conti di due esercizi consecutivi del
medesimo tesoriere ed ente locale.
    2.   -   I   molteplici  profili  di  criticita'  nella  gestione
finanziaria del comune dell'Aquila, nella misura in cui si riflettono
in   anomalie,  riscontrate  in  sede  di  revisione  nel  conto  del
Tesoriere, sono apparsi in sede di remissione al Collegio ed anche in
sede   di   valutazione  da  parte  di  quest'ultimo,  meritevoli  di
approfondimento e considerazione.
    I   chiarimenti   forniti  dall'ente  locale  non  consentono  di
superare,  mancanza  di approfondimenti istruttori da parte di questa
sezione,  i  dubbi  espressi  dal  magistrato  relatore, che sembrano
trovare  riscontro  nella  contro  relazione suindicata e soprattutto
nella documentazione allegata, dalla quale sembra evidenziarsi:
        a)  un'allarmante  consistenza  dei residui attivi, risalenti
per di piu' ad esercizi lontani;
        b)  il costante e rilevante ripetersi di iscrizione di debiti
fuori bilancio, da finanziarsi con l'avanzo di amministrazione, quale
esposto nel conto;
        3)  l'ingente  ammontare di pagamenti per interessi passivi e
spese giudiziarie;
        4) il crescere del fondo di cassa, rispetto al quale andrebbe
accertato  se  siano  stati  effettuati,  come  per legge e nei tempi
dovuti, i pagamenti:
        5)   la   mancata  previsione  o  il  mancato  accantonamento
prudenziale  di  fondi  atti  a  finanziare il reintegro del capitale
delle  societa' a partecipazione pubblica deficitarie e le pretese di
creditori  di Istituzioni dell'Ente, la cui gestione si e' chiusa con
ingenti disavanzi (vedasi l'Istituzione Perdonanza per la quale pende
giudizio contabile).
    Nell'occasione il collego non puo' fare a meno dal rilevare come,
sulla scorta di diverse istruttorie espletate nella Regione, numerose
amministrazioni  fanno  ricorso  al mantenimento in bilancio di somme
rilevanti  di  residui  attivi,  datati nel tempo, alla iscrizione in
bilancio  di  entrate  notevolmente sopravalutate (donde si spiega il
forte  scostamento  tra  accertamenti e riscossioni), al rinvio della
registrazione dell'impegno per spese gia' effettuate o commissionate,
al  rinvio  dei  pagamenti  per  spese invece gia' impegnate, sia con
l'intento  di  rispettare  le  limitazioni  imposte  dal  legislatore
nazionale   nelle   leggi   finanziarie   e  nei  provvedimenti  c.d.
taglia-spese,  sia per dar luogo ad un avanzo di cassa che, assommato
alla   gestione   dei  residui  attivi,  determini  un  risultato  di
amministrazione  positivo,  con  il quale si finanzia la spesa fuori,
bilancio, spesso di natura corrente.
    Fra  gli  atti  pubblici  che  il  Collegio  ritiene di non poter
ignorare,  vi  e' peraltro il «Referto sulla gestione finanziaria del
comune   dell'Aquila  ai  sensi  dell'art. 7,  comma  7  della  legge
n. 131/2003» reso dalla Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo,
ove   si   evidenzia   parimenti   la   presenza  di  residui  attivi
quantitativamente  assai  ingenti e qualitativamente incerti (perche'
temporalmente niente affatto recenti), attinenti a voci da verificare
e ad aree che non dovrebbero generarne. Vengono ivi sottolineate, fra
le  criticita',  la  reiterazione  del fenomeno del riconoscimento di
debiti  fuori  bilancio  (per i quali non e' stata compiuta una stima
complessiva  degli oneri futuri, ne' corrispondente copertura in fase
previsionale  per  gli  oneri  relativi  al  passato),  l'effetto  di
sbilanciamento   proveniente   dalle   passivita'  delle  aziende  da
servizio,  l'insufficiente rappresentazione nelle scritture contabili
dei  fenomeni finanziari ai quali si riferiscono, sicche' si ipotizza
il  trascinamento  e  la  sommatoria,  esercizio  dopo  esercizio, di
disavanzi occulti di parte corrente.
    E'  altresi'  pervenuto in atti un documento redatto da esponenti
del  consiglio  comunale,  che  illustra  discordanze, incongruenze e
irregolarita'  dietro  le rappresentazioni contabili del conto per il
quale e' giudizio.
    3.  -  Cio'  premesso,  il  collegio ricorda che, a seguito della
entrata  in vigore dell'art. 58 della legge n. 142/1990, recepito dal
T.U.  n. 267/2000  art. 93 comma 2 l'oggetto del presente giudizio e'
stato limitato al conto del tesoriere (che rappresenta solo una parte
e  per  di  piu'  quella  di  mera  esecuzione  del conto di bilancio
dell'Ente, che e' invece un bilancio misto, di competenza e di cassa)
e  cio' ha precluso, tra l'altro, a questo giudice l'accertamento del
merito  giuridico  e contabile delle poste di bilancio e la pronuncia
sulla  effettivita'  del risultato finale di bilancio diversamente da
quanto  consentiva l'abrogata legislazione, e segnatamente l'art. 226
del  regolamento  di  esecuzione  della  legge comunale e provinciale
approvato  con  r.d.  12  febbraio  1911,  n. 297,  -  sulla base del
bilancio  consuntivo  -.  che  veniva depositato alla Corte in uno al
conto  del  Tesoriere  ai  sensi  dell'art. 310,  comma 4, - abrogato
dall'art. 274 del d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000.
    Cio'  rende  quindi  la pronuncia di questo giudice nella materia
largamente  inadeguata  anche  sotto  l'aspetto  della  verifica  del
rispetto  dei principi di universalita', integrita' e veridicita' del
bilancio,  nonche'  del  rispetto  delle  regole  poste  con le leggi
finanziarie in relazione al patto di stabilita' interno.
    Il  Collegio  non  ignora  che con sentenza n. 378 del 16 ottobre
1996  la  Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione
di  legittimita'  costituzionale degli artt. 58, comma 2, e 64, comma
1,  della  legge  8  giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie
locali),  sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3, primo comma, 97,
primo  e  secondo  comma,  e  103, secondo comma, della Costituzione,
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia.
    Ma  -  alla  stregua di una rilettura delle argomentazioni svolte
dal  Giudice delle leggi alla luce delle radicale riforme intervenute
successivamente    alla   pubblicazione   della   stessa   e   dunque
dell'innovato  quadro  normativo  -  sembra  a  questo giudice che la
questione   possa   ed   anzi   debba  riprospettarsi  non  apparendo
manifestamente  infondata,  ed  in  relazione  all'allarme che si sta
diffondendo  presso  l'opinione  pubblica  sulla  realta'  dei  conti
pubblici.
    A tale riguardo occorre rilevare:
        a)  la  norma  di  cui all'articolo 46 della legge n. 142 del
1990  che  sottoponeva  al  sindacato  di  legittimita'  il  bilancio
preventivo  e  il conto consuntivo da parte del comitato regionale di
controllo, la cui verifica comprendeva non solo la legittimita' degli
atti di gestione, ma la loro coerenza interna e la corrispondenza dei
dati   contabili  con  quelli  delle  deliberazioni,  nonche'  con  i
documenti giustificativi allegati alle stesse, e' stata abrogata.
        b)  E'  residuato  il  solo controllo rimesso al collegio dei
revisori,  il  quale  e' organo interno dell'Ente e non provvisto dei
necessari  requisiti di autonomia dal potere politico che possano far
ritenere   la  pur  importante  funzione  avulsa  da  condizionamenti
diversi.
    Se  e'  vero che la legge pone a carico dei revisori l'obbligo di
referto al consiglio comunale o provinciale su gravi irregolarita' di
gestione    con    contestuale    denuncia   ai   competenti   organi
giurisdizionali  ove si configurino ipotesi di responsabilita', e che
l'articolo  1,  comma  3,  della legge n. 20 del 1994, stabilisce che
qualora  la  prescrizione  del  diritto al risarcimento del danno sia
maturata  a  causa  di  omissione o ritardo della denuncia del fatto,
rispondono del danno erariale i soggetti che hanno omesso o ritardato
la  denuncia,  tali disposizioni possono al piu' valere come richiamo
alle  responsabilita'  dei  singoli,  ma  non  a  corrispondere  alla
richiesta  avanzata  in  questo  e negli altri giudizi da parte degli
stessi  amministratori  o da componenti l'opposizione (preoccupati di
trovare  la  cassa  vuota  quando  vengano  chiamati a rispettare gli
impegni  assunti  dinanzi agli elettori) che richiedono una pronuncia
«accertativa»  delle  risultanze  di bilancio, con eventuale modifica
degli  stessi  -  sicuramente  da  -  condursi in contraddittorio con
l'amministrazione sulla base del novellato art. 111 Cost., cosi' come
la legge consentiva prima del 1990.
    Con  cio'  non  si intende sminuire l'importante ruolo svolto dal
collegio   dei  revisori,  la  cui  attivita'  non  puo'  che  essere
propedeutica  e  necessaria  ai  fini del definitivo accertamento del
giudice  contabile, ma semplicemente far rilevare il maggior grado di
affidabilita'  di cui gode la Corte per Costituzione, che, per la sua
posizione  di  indipendenza dal Governo, come e' dimostrato in questo
giudizio  ed  in  quelli  relativi al comune di Chieti e al comune di
Scanno  anch'essi  rimessi  per il giudizio di costituzionalita', dal
fatto che sono gli stessi componenti del consiglio comunale o capi di
amministrazione   a   chiedere  al  giudice  contabile,  anziche'  ai
revisori, la pronuncia sulla gestione.
    Cio  attesta l'esistenza, in questo nuovo assetto istituzionale e
politico, di una rafforzata domanda di certezza sulla consistenza dei
fondi   realmente   disponibili,   che  solo  un'istituzione  a  cio'
espressamente   delegata   dalla   Costituzione   con  l'art. 103  e'
legittimata  a  soddisfare,  quale  giudice competente «in materia di
contabilita' pubblica».
    Va notato, per incidens, che analoga esigenza si pone per i conti
dello  Stato  come  e'  dimostrato dalla proposta avanzata da qualche
parte  politica  di  una nuova autorita' sui conti, senza pensare che
per  Costituzione  a tali funzioni e' delegata, appunto, la Corte dei
conti,  di  cui  va  recuperata  la funzione accertativa, ridotandola
degli strumenti necessari.
        c) Non esiste conflitto o duplicazione di interventi rispetto
all'azione  di  reponsabilita'  rimessa  al Procuratore regionale, il
quale  agisce  per individuare specifiche responsabilita' a carico di
soggetti  per  i  danni  da essi prodotti (e tra i quali non si fanno
rientrare  i danni c. d. finanziari), in quanto mentre il giudizio di
responsabilita'  conduce  alla  condanna  per  il  danno  arrecato in
relazione  a  comportamenti gravemente colposi o dolosi, la pronuncia
sul conto non e' finalizzata che ad accertare la vendicita' di alcuni
dati fondamentali della gestione.
    Anche alla luce dell'art. 111 novellato, e' escluso che in questa
sede   possano   essere   elevate   responsabilita'   a   carico   di
amministratori  o  dipendenti,  in  quanto  si verte, ad una corretta
lettura  delle norme e della piu' autorevole dottrina, nell'ambito di
una  giurisdizione  oggettiva,  il cui risultato finale e' e non puo'
che  essere  una  «pronuncia  di  regolarita»,  e dunque una verifica
sull'affidabilita' di dati, ponendosi quale strumento di garanzia per
gli       amministratori,       nell'alternanza       dei       ruoli
maggioranza-opposizione.
        d)  Ne'  sussiste  duplicazione di funzioni, nel contesto del
rinnovato  sistema  dei  controlli,  rispetto  alla istituzione della
sezione della Corte dei conti, alla quale il legislatore (art. 13 del
decreto-legge  22  dicembre 1981, n. 786, come modificato dalla legge
di  conversione  26  febbraio 1982, n. 51, Disposizioni in materia di
finanza  locale),  ha  affidato il compito di riscontro alla gestione
finanziaria  degli  enti  locali  nell'intero  contesto della finanza
pubblica,  pur  nelle  accresciute  competenze  previste  dalla legge
finanziaria  2006  (legge n. 266/2005 art. 1 commi 166 e segg.), che,
tra  l'altro,  al  comma  168,  demanda  alla  stessa  una «specifica
pronuncia»  in  ordine  «a comportamenti difformi dalla sana gestione
finanziaria,   attribuendo   ad   essa  poteri  di  mera  «vigilanza»
sull'adozione da parte dell'ente locale di misure correttive.
    Il   risultato   di   tale   attivita'  tuttavia  si  concretizza
sostanzialmente  in  un  «referto», che e' cosa ben diversa da quella
funzione accertativa svolta nella sede giurisdizionale, attraverso un
istituto  di cui inesattamente si denuncia il superamento. In questa,
attraverso  una  procedura  preliminare  che  appare moderna ed agile
(perche'  conduce  di  norma  ad un decreto di regolarita', emesso su
conforme   proposta  del  magistrato  istruttore  e  del  procuratore
regionale)  e  garantista perche in caso di contestazioni si apre una
fase  collegiale,  nel rispetto del principio del contraddittorio, si
perviene  ad  una  rapida  pronuncia  sulla  attendibilita'  dei dati
esposti  e  in  definitiva  sulla  correttezza  di  una  gestione del
bilancio  conforme  ai  «principi  fondamentali»  che  sono  presenti
nell'ordinamento e che, ai sensi della lettera f), dell'art. 2, comma
4  legge 5 giugno 2003, n. 131, sono in procinto di essere oggetto di
apposito   decreto   legislativo.   Cio'   costituisce   un   momento
insopprimibile  di  garanzia  di  correttezza della gestione, come lo
stesso  giudice  delle leggi ebbe modo di affermare in piu' occasioni
(vedi infra).
        e) E' d'uopo ricordare che, anteriormente alla sentenza della
Corte  costituzionale  n. 55  del  1966,  il  conto del tesoriere dei
comuni e delle province veniva sottoposto al giudizio dei consigli di
prefettura,  previa  approvazione  da  parte del consiglio comunale o
provinciale,  ai  sensi  dell'art. 310, quarto comma, del testo unico
della legge comunale e provinciale n. 383 del 1934.
    Il  giudizio  sul  rendiconto  degli  enti locali aveva allora ad
oggetto  non  soltanto  la  gestione del tesoriere, ma anche il conto
consuntivo  dell'ente  locale, e riguardava, pertanto, sia i fatti di
gestione   della   tesoreria,   sia   i   fatti   di  gestione  degli
amministratori.
    A  seguito di tale sentenza, la competenza passo' alle competenti
sezioni  del  contenzioso  contabile  della  Corte  dei  conti, ma si
affermo'  in  via meramente giurisprudenziale un orientamento secondo
cui  la  stessa  Corte  avrebbe  potuto  far  valere,  attraverso una
chiamata  in  giudizio  iussu  iudicis,  la eventuale responsabilita'
patrimoniale degli amministratori.
    E'  fin  troppo evidente che tale giurisprudenza non ha oggi piu'
fondamento  alla  luce  dei principi innovativi introdotti con l'art.
111 della Costituzione, per cui il giudizio deve essere limitato alla
sola   pronuncia   oggettiva   sulla   affidabilita'   dei  risultato
finanziano.
        f)  Come  istituto di giurisdizione oggettiva, il giudizio in
questione  puo'  essere  ritenuto  strumento fondamentale di garanzia
della  certezza dei dati contabili e della correttezza delle gestione
e  anzi che interferire con le funzioni della oggi denominata sezione
delle   autonomie  verrebbe  a  costituire  importante  strumento  di
supporto  e completamento della sua funzione, in quanto il referto di
questa  si  baserebbe  su  dati resi piu' affidabili dall'intervenuta
pronuncia di regolarita', che auspicabilmente dovrebbe avere luogo in
termini  estremamente  ristretti. Del resto questa e' anche la chiara
volonta'  espressa  dal  legislatore  che  ha  introdotto  il termine
quinquennale   per   la   relativa  pronuncia  (art.  1  della  legge
n. 20/1994).
    4.  -  Sulla  base delle predette considerazioni, sembra a questo
giudice  che  si  possa  ripropone, alla luce anche delle prospettate
riforme    federaliste    e    costituzionali,    la   questione   di
costituzionalita'  delle  norme  che hanno ristretto l'intervento del
giudice contabile nella materia alla sola gestione di cassa. Infatti,
la  sottrazione  del conto consuntivo al giudizio necessario di conto
appare  in contrasto con l'art. 103, secondo la lettura a questo data
dalla  Corte  costituzionale  (nelle  sentenze  nn. 68/1971; 63/1973;
114/1974;  129/1981;  185/1982; 189/1984; 1007/1988) e dalla Corte di
cassazione  (per  tutte cfr. ss.uu. sentenze nn. 2616/1968; 3375/3384
del  19  luglio 1989); entrambe, infatti, hanno affermato da un parte
che  la norma predetta, nel riservare alla Corte dei conti le materie
di  contabiita' pubblica, sotto l'aspetto oggettivo, ne ha confermato
la  nozione  tradizionalmente  accolta,  comprensiva  del giudizio di
responsabilita'  e  del  giudizio  di  conto, e dall'altra che questo
costituisce  insopprimibile  momento  di  garanzia  della correttezza
della  gestione  degli  amministratori degli enti locali a tutela dei
contribuenti.
    In  particolare,  nella  sentenza n. 114 citata si afferma che e'
principio    generale    del   nostro   ordinamento   il   necessario
assoggettamento  del  pubblico  denaro (proveniente dalla generalita'
dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni)
al  giudizio  necessario  di conto; infatti «a nessun ente gestore di
mezzi  di  provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia
comunque  maneggio  di  denaro  e  valori  di proprieta' dell'ente e'
consentito  sottrarsi  alla garanzia costituzionale della correttezza
della gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto
giudiziale».
    Tali  principi sono stati confermati con la sentenza n. 1007/1988
citata  della Corte costituzionale che ha ritenuto illegittimo l'art.
122, primo comma, del d.l. del presidente della regione siciliana del
29 ottobre 1955, n. 6, convalidato con legge regionale 15 marzo 1963,
n. 16, per contrasto con l'art. 103, nella parte in cui si attribuiva
al consiglio comunale il potere di deliberare in conto consuntivo con
effetti  sostitutivi  della  decisione della Corte dei conti: da tale
sentenza  si  evince  in  maniera  chiara  che  cio'  che deve essere
sottoposto  a  giudizio  e'  non  solo il conto di cassa, ma il conto
consuntivo,  sottoposto  a giudizio e' non solo il conto di cassa, ma
il conto consuntivo, e cio' corrisponde ad un «principio fondamentale
dello Stato di diritto», recepito dall'art. 103.
    5. - In piu', vi e' un altro motivo per rilevare la non manifesta
infondatezza  di un conflitto rinnovato tra i principi ivi confermati
e  la  scelta  legislativa  di  limitare  la  cognizione al conto del
tesoriere:   a   legislazione  vigente  non  vi  sono  altre  opzioni
adeguatamente  praticabili  per dare seguito ai rilievi formulati con
riferimento a profili che, appatenendo solo per riflesso al conto del
tesoriere,   impingono   piu'  specificamente  al  conto  finanziario
dell'Ente  dato  che  risulta  mutato  il  quadro  complessivo  della
disciplina   dei  controlli  per  la  finanza  locale,  quale  si  e'
determinata   a  seguito  di  interventi  legislativi  medio  tempore
intervenuti,  segnatamente  quelli connessi alle leggi Bassanini, non
ultima la abolizione dei CO.RE CO.
    Ma  a  fronte  di  una  diminuita  estensione  e  intensita'  dei
controlli, si registra per adverso una acuita necessita' di tenere in
regola  i  conti  della  finanza  locale,  derivante  non  solo dalla
contingente  criticita'  della situazione economica nazionale, quanto
anche   dall'assunzione   del  nostro  Paese  di  vincoli  e  impegni
particolarmente rigorosi a livello nazionale e in sede internazionale
o   piu'   propriamente   sovranazionale  in  relazione  all'adesione
dell'Italia all'Unione europea e alla Moneta Unica.
    Sotto  il  primo aspetto, non si puo' non richiamare alla memoria
la  portata  innovativa  della  disciplina  introdotta  con  la legge
costituzionale   n. 3   del  2001  nella  materia  finanziaria  e  la
successiva  normazione primaria in tale ambito. Basti considerare che
l'art.  29 della legge n. 289 del 27 dicembre 2002 ha disciplinato il
patto di stabilita' interno per gli enti territoriali. Tale normativa
ha  infatti  disposto  che ai fini della tutela dell'unita' economica
della  Repubblica,  ciascuna  regione  a  statuto ordinario, ciascuna
Provincia e ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti
concorre alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica - per
il triennio 2003-2005 (adottati con l'adesione al patto di stabilita'
e  crescita, nonche' alla condivisione delle relative responsabilita'
)  - con il rispetto delle disposizioni normative emanate in virtu' e
per effetto dei principi fondamentali che sottendono il coordinamento
della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117 e 119, secondo conma,
della  Costituzione.  Basti  considerare,  in  questa  sede,  che  e'
statuito  che  il  disavanzo  finanziario, di ciascuna provincia e di
ciascun  comune  con popolazione superiore a 5.000 abitanti, non puo'
essere   superiore   a   quello   risultante   dall'applicazione,  al
corrispondente  disavanzo  finanziario del penultimo anno precedente,
di  una  percentuale  di variazione definita, per ciascuno degli anni
considerati,   dalla   legge   finanziaria.   Ad  esempio,  in  prima
applicazione, per l'anno 2005, la percentuale era fissata nel 7,8 per
cento   rispetto   al   2003.  Questa  stringente  disciplina  affida
fondamentali compiti di verifica di raggiungimento di tali obiettivi,
nell'ambito  degli  enti  locali,  non  ad  organi  esterni bensi' al
Collegio  dei  revisori.  In  piu'  occasioni,  anche  da parte della
Ragioneria   generale   dello   Stato   e'   stato   posto  l'accento
sull'esigenza  del  rispetto  dei  principi di cui all'art. 119 della
Costituzione,    secondo   il   quale   «comuni,   province,   citta'
metropolitane  e regioni ... possono ricorrere all'indebitamento solo
per finanziare spese d'investimento».
    E'   precisamente   in   considerazione  delle  norme  ricavabili
dall'art.  119  delola  Costituzione  che  il  raccordo della finanza
statale  con  quella degli enti territoriali che occorre dimensionare
correttamente  le  funzioni  attribuite  ad  organi terzi ed esterni,
quali  la  Corte  dei  conti,  non  solo  e  non tanto in funzione di
deterrenza  verso  le  patologie  o di sanzione, ma specificamente di
garanzia  (per  lo  Stato  e  per  gli  amministratori  locali) della
veridicita' e dell'attendibilita' delle poste in bilancio, in assenza
delle  quali  l'attuazione  dell'art.  119  della Costituzione appare
impraticabile.
    Ma  la  nforma  del  Titolo V della Costituzione, se per un verso
riconosce  la piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle
regioni e degli enti locali, per l'altro, attribuise espresso rilievo
ai  vincoli  derivanti dall'ordinamento comunitario, che, nell'ambito
della politica di bilancio, sono costituiti da regole sui saldi, alle
quali  si  connette  anche  la  previsione  di  sanzioni.  I  vincoli
derivanti   dalla   appartenenza   all'Unione   economica   monetaria
comportano  l'attribuzione a livello statale della responsabilita' in
ordine  sia alla determinazione degli obiettivi finanziari validi per
il  complesso  delle  amministrazioni pubbliche, sia al conseguimento
dei  saldi  prefissati  e,  in  generale,  al  rispetto  delle regole
stabilite dal Trattato CE e dal Patto di stabilita' e crescita.
    Il   rispetto   di   tutti   questi  vincoli,  in  un  quadro  di
potenziamento  delle autonomie territoriali, non puo' ragionevolmente
essere  realizzato  con  una  gestione  accentrata,  statale, di tipo
imperativo.  A  conferma  di  cio'  e'  recentemente  intervenuta  la
pronuncia  con  la  quale  la  Corte  costituzionale  ha  giustamente
affermato   (Sent.   n. 417/2005)  l'illegittimita'  di  disposizioni
statuali   che  intervengano  con  «tagli»  nella  finanza  regionale
rapportati a singole voci di spesa.
    La  natura  di bilancio misto del conto di gestione dell'ente, la
impossibilita'  di  rilevare  gli  impegni  o  gli  accertamenti, non
essendo  inseriti  nel  conto del tesoriere, anche per la verifica di
obblighi  imposti  normativamente allo stesso (rispetto dei limiti di
pagamento, limiti alle anticipazioni di tesoreria etc.) oltre che gli
scostamenti  anomali'  tra  riscossioni  ed  accertamenti  ritardi od
omissioni  nei  pagamenti al fine di creare artificialmente un avanzo
di  cassa  tale da influenzare il risultato di amministrazione (anche
atuaverso  la allocazione fuori del bilancio di spese cui non si puo'
far  fronte)  rende  le citate norme limitative contrastanti con ogni
principio di ragionevolezza e quindi con l'art. 3 della Costituzione,
dato  che  il  conto  del  tesoriere  e'  solo la parte esecutiva del
bilancio.
    6.  -  Cio',  ad  avviso  del Collegio, comporta la necessita' di
riespandere  alla  sua  fisiologica  area  di cognizione lo specifico
strumento del giudizio di conto, che appare strumento compatibile con
l'assetto  delle autonomie siasotto il profilo funzionale (provenendo
dal  potere giurisdizionale) sia sotto quello territoriale (grazie al
radicale  decentramento  attuato  dalla  Corte  dei conti nell'ultimo
decennio).  Ne'  puo' ritenersi equivalente l'attribuzione con l'art.
7,  comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, (recante disposizioni
per   l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica  alla  legge
costituzionale  18  ottobre  2001,  n. 3)  alla Corte dei conti della
funzione   di  referto  (arricchita  con  le  aceresciute  competenze
conferite  dalla legge finanziaria del 2006, artt. 166 e seguenti) in
ordine agli andamenti complessivi della finanza locale ed al rispetto
del patto di stabilita' e dei vincoli U.E.
    Sia poi sufficiente accennare che l'assenza di' sanzioni (come e'
stato  anche recentemente sottolineato da autorevole dottrina) sembra
legittimare  in  molti  casi le Amministrazioni a non tener conto dei
rilievi formulati.
    E  d'altro  canto  forse  non e' un caso che la sanzione prevista
dall'art.  248 comma 5 del citato decreto legislativo n. 267/2000 per
gli amministratori ritenuti responsabili del dissesto finanziario non
risulta  sia  mai stata applicata: verosimilmente cio' discende anche
dalla  presenza  dei  limiti  introdotti  nel  giudizio  di  conto in
questione;  senza  considerare  che  sembra rispondere maggiormente a
criteri   di  ragionevolezza  l'esigenza  di  prevenire  il  dissesto
attraverso la verifica delle violazioni della normativa contabile nel
loro  matuurarsi.  Anche sotto tale profilo si evidenzia il contrasto
con  l'art.   3  della  Costituzione di una normativa che mentre vuol
sanzionare  il dissesto preclude alla Corte dei conti la possibilita'
di   verificare   le  poste  di  bilancio  esercizio  per  esercizio,
rettificando, se del caso, il risultato di amministrazione.
    7.   -   Riassumendo  le  suesposte  considerazioni,  non  appare
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
delle  norme limitarive della giurisdizione della Corte dei conti sui
conti   giudiziali   quali   attualmente   vigenti  a  seguito  della
sostanziale  trasfusione  delle  disposizioni della legge n. 142/1990
nel   T.U.  267  del  2000.  Cio'  contrasta,  come  gia'  ampiamente
illustrato   supra,  con  il  principio  della  non  arbitrarieta'  e
irragionevolezza dell'operato del legislatore ordinario (art. 3 della
Costituzione);  con  il  rispetto degli impegni assunti nei confronti
delle  organizzazioni  sopranazionali alle quali lo Stato italiano ha
aderito (art. 11 della Costituzione); con il rispetto sostanziale del
limite  minimo,  posto al legislatore anche nell'esercizio di una sua
legittima   interposizio,   nella   modulazione   delle  attribuzioni
costituzionalmente   attribuite  alla  Corte  dei  conti  (103  della
Costituzione);  con i principi del raccordo della finanza statale con
quella degli enti territoriali (art. 119 della Costituzione).