LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza di remissione alla Corte costituzionale sui giudizi di conto, iscritti ai nn. 16030/G.C.E.L. e 16031/G.C.E.L. del registro di segreteria ed aventi ad oggetto i conti giudiziali, relativi agli esercizi 2002 e 2003 del Tesoriere del comune di L'Aquila, per i quali e' disposta la riunione ai sensi dell'art. 274 c.p.c.; Uditi, nella pubblica udienza in data 5 aprile 2006, il Magistrato relatore, dott. Giacinto Dammicco, ed il rappresentante del pubblico ministero, dott. Eugenio Musumeci; Esaminati gli atti ed i documenti. Rilevato in fatto Con relazione 156 del 22 giugno 2005 il mag. relatore sul conto del Tesoriere comune dell'Aquila ha chiesto al presidente della sezione che fosse rimesso al Collegio il giudizio sul conto del Tesoriere del comune relativo, all'esercizio 2002, mediante iscrizione a ruolo ai sensi dell'art. 30 del r.d. 13 agosto 1933. Con decreto presidenziale datato 21 settembre 2005 l'udienza e' stata fissata ad oggi 5 aprile 2006, dandone comunicazione agli interessati in uno alla relazione del predetto magistrato. Le risultanze della suddetta relazione sono le seguenti: nel titolo I delle entrate risultano residui attivi conservati e staziamenti definitivi di bilancio pari a Euro 52.911.762,29 e riscossioni pari a Euro 28.654.921,51 (54,16 %); nel Titolo II delle entrate risultano residui conservati e stanziamenti definitivi di bilancio pari a Euro 35.721.821,61 e riscossioni pari a Euro 16.060.221,20 (44,96 %); nel Titolo III delle entrate risultano residui conservati e stanziamenti definitivi di bilancio pari a Euro 16.722.078,56 e riscossioni pari a Euro 5.583.558,90 (33,39 %); nel Titolo IV risultano residui conservati e stanziamenti definitivi di bilancio pari a Euro 48.457.085,00 e riscossioni pari a Euro 5.803.439,23 (11,98 %); nel Titolo V delle entrate risultano residui conservati e stanziamenti definitivi di bilancio pari a Euro 5.989.836,25 (7,40 %); la percentuale complessiva di riscossione delle entrate in bilancio e' del 26,45 %; negli stanziamenti definitivi di bilancio risulta prevista un'anticipazione di tesoreria pari a Euro 12.048.043; risulta trasmessa la documentazione relativa ai conti degli agenti contabili ma non il conto; risultano interessi passivi ed oneri finanziari diversi pari ad Euro 5.652.502,16; oneri straordinari della gestione corrente pari a Euro 8.548.910,90 nei residui conservati, Euro 10.088.923,55 negli stanziamenti definitivi di bilancio, risultano pagati dal tesoriere Euro 5.816.113,08; risultano incarichi professionali esterni pari a Euro 1.460.035,45 nei residui conservati, Euro 1.407.345,47 negli stanziamenti definitivi di bilancio, risultano pagati dal tesoriere Euro 15.517,06; non risulta allegata la deliberazione di approvazione del rendiconto, ma un verbale di deliberazione del consiglio comunale di approvazione dei conti degli agenti contabili, compreso il tesoriere. Con relazione n. 157 del 22 giugno 2005 il mag. relatore ha chiesto la remissione al collegio anche per l'esercizio 2003, per il quale sono sottolineate analoghe criticita', con valori sostanzialmente equivalenti all'anno precedente. In date 10 marzo, 28 marzo e 31 marzo 2006 il comune dell'Aquila ha trasmesso documenti e relazioni in risposta ai suddetti rilievi evidenziando che sui residui attivi e' in corso una operazione di riaccertamento che ha gia' portato alla eliminazione di alcune voci, in quanto trattatasi di residui insussistenti (tra i quali ad esempio un credito nei confronti della Co.Ge.Ri. per oltre 11 miliardi di lire), con rideterminazione dell'avanzo di amministrazione. Per i debiti fuori bilancio viene affermato che essi spesso risalgono a precedenti gestioni, che sono ingenti e che risultano alla presente gestione imprevedibii (letteralmente, «spuntati come funghi»). In ordine ad eventuali oneri per anticipazioni di tesoreria, ha affermato la assenza del ricorso a tale strumento e quindi insussistenza dei relativi oneri. E' pervenuta a questa Sezione Giurisdizionale altresi' una nota del Vice Presidente del Consiglio comunale che evidenzia la contrazione, negli esercizi all'esame, della quota di residui attivi incassati, e viceversa un aumento dei residui passivi pagati; vengono allegate segnalazioni e denunzie relative al servizio di Tesoreria, per operazioni di cassa a fine esercizio intese ad alterare le risultanza dei conti, e alla adozione di delibere in materia finanziaria non conformi al parere dell'organo di revisione; vengano poi sottolineato le carenti formalizzazioni relative alle esposizioni del comune per il finanziamento della Istituzione per le celebrazioni della Perdonanza. Vi si chiede in sostanza che in questa sede intervenga pronuncia accertativa sulla consistenza dell'avanzo di amministrazione, previa verifica della attendibilita' dei residui attivi ed accertamento della inesistenza di debiti fuori bilancio, non giustificati. Nell'Udienza in data odierna il rappresentante del pubblico ministero ha preso atto delle anomalie evidenziate negli atti del giudizio, riservando alla Procura eventuali seguiti di competenza in ordine alla esistenza di eventuali fattispecie di responsabilita' a carico degli amministratori, al momento della remissione alla Procura medesima degli atti in questione e concordando peraltro con i dubbi, sollevati nella relazione, di costituzionalita' dell'intervenuta normativa che, avendo limitato la pronuncia alla sola gestione di cassa, preclude oggi al giudice contabile di accertare la effettivita' del risultato di gestione. D i r i t t o 1. - Preliminarmente viene disposta la riunione dei giudizi 16030 e 16031 ai sensi dell'art. 274 c.p.c., per evidenti motivi di connessione, trattandosi dei conti di due esercizi consecutivi del medesimo tesoriere ed ente locale. 2. - I molteplici profili di criticita' nella gestione finanziaria del comune dell'Aquila, nella misura in cui si riflettono in anomalie, riscontrate in sede di revisione nel conto del Tesoriere, sono apparsi in sede di remissione al Collegio ed anche in sede di valutazione da parte di quest'ultimo, meritevoli di approfondimento e considerazione. I chiarimenti forniti dall'ente locale non consentono di superare, mancanza di approfondimenti istruttori da parte di questa sezione, i dubbi espressi dal magistrato relatore, che sembrano trovare riscontro nella contro relazione suindicata e soprattutto nella documentazione allegata, dalla quale sembra evidenziarsi: a) un'allarmante consistenza dei residui attivi, risalenti per di piu' ad esercizi lontani; b) il costante e rilevante ripetersi di iscrizione di debiti fuori bilancio, da finanziarsi con l'avanzo di amministrazione, quale esposto nel conto; 3) l'ingente ammontare di pagamenti per interessi passivi e spese giudiziarie; 4) il crescere del fondo di cassa, rispetto al quale andrebbe accertato se siano stati effettuati, come per legge e nei tempi dovuti, i pagamenti: 5) la mancata previsione o il mancato accantonamento prudenziale di fondi atti a finanziare il reintegro del capitale delle societa' a partecipazione pubblica deficitarie e le pretese di creditori di Istituzioni dell'Ente, la cui gestione si e' chiusa con ingenti disavanzi (vedasi l'Istituzione Perdonanza per la quale pende giudizio contabile). Nell'occasione il collego non puo' fare a meno dal rilevare come, sulla scorta di diverse istruttorie espletate nella Regione, numerose amministrazioni fanno ricorso al mantenimento in bilancio di somme rilevanti di residui attivi, datati nel tempo, alla iscrizione in bilancio di entrate notevolmente sopravalutate (donde si spiega il forte scostamento tra accertamenti e riscossioni), al rinvio della registrazione dell'impegno per spese gia' effettuate o commissionate, al rinvio dei pagamenti per spese invece gia' impegnate, sia con l'intento di rispettare le limitazioni imposte dal legislatore nazionale nelle leggi finanziarie e nei provvedimenti c.d. taglia-spese, sia per dar luogo ad un avanzo di cassa che, assommato alla gestione dei residui attivi, determini un risultato di amministrazione positivo, con il quale si finanzia la spesa fuori, bilancio, spesso di natura corrente. Fra gli atti pubblici che il Collegio ritiene di non poter ignorare, vi e' peraltro il «Referto sulla gestione finanziaria del comune dell'Aquila ai sensi dell'art. 7, comma 7 della legge n. 131/2003» reso dalla Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo, ove si evidenzia parimenti la presenza di residui attivi quantitativamente assai ingenti e qualitativamente incerti (perche' temporalmente niente affatto recenti), attinenti a voci da verificare e ad aree che non dovrebbero generarne. Vengono ivi sottolineate, fra le criticita', la reiterazione del fenomeno del riconoscimento di debiti fuori bilancio (per i quali non e' stata compiuta una stima complessiva degli oneri futuri, ne' corrispondente copertura in fase previsionale per gli oneri relativi al passato), l'effetto di sbilanciamento proveniente dalle passivita' delle aziende da servizio, l'insufficiente rappresentazione nelle scritture contabili dei fenomeni finanziari ai quali si riferiscono, sicche' si ipotizza il trascinamento e la sommatoria, esercizio dopo esercizio, di disavanzi occulti di parte corrente. E' altresi' pervenuto in atti un documento redatto da esponenti del consiglio comunale, che illustra discordanze, incongruenze e irregolarita' dietro le rappresentazioni contabili del conto per il quale e' giudizio. 3. - Cio' premesso, il collegio ricorda che, a seguito della entrata in vigore dell'art. 58 della legge n. 142/1990, recepito dal T.U. n. 267/2000 art. 93 comma 2 l'oggetto del presente giudizio e' stato limitato al conto del tesoriere (che rappresenta solo una parte e per di piu' quella di mera esecuzione del conto di bilancio dell'Ente, che e' invece un bilancio misto, di competenza e di cassa) e cio' ha precluso, tra l'altro, a questo giudice l'accertamento del merito giuridico e contabile delle poste di bilancio e la pronuncia sulla effettivita' del risultato finale di bilancio diversamente da quanto consentiva l'abrogata legislazione, e segnatamente l'art. 226 del regolamento di esecuzione della legge comunale e provinciale approvato con r.d. 12 febbraio 1911, n. 297, - sulla base del bilancio consuntivo -. che veniva depositato alla Corte in uno al conto del Tesoriere ai sensi dell'art. 310, comma 4, - abrogato dall'art. 274 del d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000. Cio' rende quindi la pronuncia di questo giudice nella materia largamente inadeguata anche sotto l'aspetto della verifica del rispetto dei principi di universalita', integrita' e veridicita' del bilancio, nonche' del rispetto delle regole poste con le leggi finanziarie in relazione al patto di stabilita' interno. Il Collegio non ignora che con sentenza n. 378 del 16 ottobre 1996 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 58, comma 2, e 64, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, primo e secondo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia. Ma - alla stregua di una rilettura delle argomentazioni svolte dal Giudice delle leggi alla luce delle radicale riforme intervenute successivamente alla pubblicazione della stessa e dunque dell'innovato quadro normativo - sembra a questo giudice che la questione possa ed anzi debba riprospettarsi non apparendo manifestamente infondata, ed in relazione all'allarme che si sta diffondendo presso l'opinione pubblica sulla realta' dei conti pubblici. A tale riguardo occorre rilevare: a) la norma di cui all'articolo 46 della legge n. 142 del 1990 che sottoponeva al sindacato di legittimita' il bilancio preventivo e il conto consuntivo da parte del comitato regionale di controllo, la cui verifica comprendeva non solo la legittimita' degli atti di gestione, ma la loro coerenza interna e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonche' con i documenti giustificativi allegati alle stesse, e' stata abrogata. b) E' residuato il solo controllo rimesso al collegio dei revisori, il quale e' organo interno dell'Ente e non provvisto dei necessari requisiti di autonomia dal potere politico che possano far ritenere la pur importante funzione avulsa da condizionamenti diversi. Se e' vero che la legge pone a carico dei revisori l'obbligo di referto al consiglio comunale o provinciale su gravi irregolarita' di gestione con contestuale denuncia ai competenti organi giurisdizionali ove si configurino ipotesi di responsabilita', e che l'articolo 1, comma 3, della legge n. 20 del 1994, stabilisce che qualora la prescrizione del diritto al risarcimento del danno sia maturata a causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, rispondono del danno erariale i soggetti che hanno omesso o ritardato la denuncia, tali disposizioni possono al piu' valere come richiamo alle responsabilita' dei singoli, ma non a corrispondere alla richiesta avanzata in questo e negli altri giudizi da parte degli stessi amministratori o da componenti l'opposizione (preoccupati di trovare la cassa vuota quando vengano chiamati a rispettare gli impegni assunti dinanzi agli elettori) che richiedono una pronuncia «accertativa» delle risultanze di bilancio, con eventuale modifica degli stessi - sicuramente da - condursi in contraddittorio con l'amministrazione sulla base del novellato art. 111 Cost., cosi' come la legge consentiva prima del 1990. Con cio' non si intende sminuire l'importante ruolo svolto dal collegio dei revisori, la cui attivita' non puo' che essere propedeutica e necessaria ai fini del definitivo accertamento del giudice contabile, ma semplicemente far rilevare il maggior grado di affidabilita' di cui gode la Corte per Costituzione, che, per la sua posizione di indipendenza dal Governo, come e' dimostrato in questo giudizio ed in quelli relativi al comune di Chieti e al comune di Scanno anch'essi rimessi per il giudizio di costituzionalita', dal fatto che sono gli stessi componenti del consiglio comunale o capi di amministrazione a chiedere al giudice contabile, anziche' ai revisori, la pronuncia sulla gestione. Cio attesta l'esistenza, in questo nuovo assetto istituzionale e politico, di una rafforzata domanda di certezza sulla consistenza dei fondi realmente disponibili, che solo un'istituzione a cio' espressamente delegata dalla Costituzione con l'art. 103 e' legittimata a soddisfare, quale giudice competente «in materia di contabilita' pubblica». Va notato, per incidens, che analoga esigenza si pone per i conti dello Stato come e' dimostrato dalla proposta avanzata da qualche parte politica di una nuova autorita' sui conti, senza pensare che per Costituzione a tali funzioni e' delegata, appunto, la Corte dei conti, di cui va recuperata la funzione accertativa, ridotandola degli strumenti necessari. c) Non esiste conflitto o duplicazione di interventi rispetto all'azione di reponsabilita' rimessa al Procuratore regionale, il quale agisce per individuare specifiche responsabilita' a carico di soggetti per i danni da essi prodotti (e tra i quali non si fanno rientrare i danni c. d. finanziari), in quanto mentre il giudizio di responsabilita' conduce alla condanna per il danno arrecato in relazione a comportamenti gravemente colposi o dolosi, la pronuncia sul conto non e' finalizzata che ad accertare la vendicita' di alcuni dati fondamentali della gestione. Anche alla luce dell'art. 111 novellato, e' escluso che in questa sede possano essere elevate responsabilita' a carico di amministratori o dipendenti, in quanto si verte, ad una corretta lettura delle norme e della piu' autorevole dottrina, nell'ambito di una giurisdizione oggettiva, il cui risultato finale e' e non puo' che essere una «pronuncia di regolarita», e dunque una verifica sull'affidabilita' di dati, ponendosi quale strumento di garanzia per gli amministratori, nell'alternanza dei ruoli maggioranza-opposizione. d) Ne' sussiste duplicazione di funzioni, nel contesto del rinnovato sistema dei controlli, rispetto alla istituzione della sezione della Corte dei conti, alla quale il legislatore (art. 13 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, come modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1982, n. 51, Disposizioni in materia di finanza locale), ha affidato il compito di riscontro alla gestione finanziaria degli enti locali nell'intero contesto della finanza pubblica, pur nelle accresciute competenze previste dalla legge finanziaria 2006 (legge n. 266/2005 art. 1 commi 166 e segg.), che, tra l'altro, al comma 168, demanda alla stessa una «specifica pronuncia» in ordine «a comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, attribuendo ad essa poteri di mera «vigilanza» sull'adozione da parte dell'ente locale di misure correttive. Il risultato di tale attivita' tuttavia si concretizza sostanzialmente in un «referto», che e' cosa ben diversa da quella funzione accertativa svolta nella sede giurisdizionale, attraverso un istituto di cui inesattamente si denuncia il superamento. In questa, attraverso una procedura preliminare che appare moderna ed agile (perche' conduce di norma ad un decreto di regolarita', emesso su conforme proposta del magistrato istruttore e del procuratore regionale) e garantista perche in caso di contestazioni si apre una fase collegiale, nel rispetto del principio del contraddittorio, si perviene ad una rapida pronuncia sulla attendibilita' dei dati esposti e in definitiva sulla correttezza di una gestione del bilancio conforme ai «principi fondamentali» che sono presenti nell'ordinamento e che, ai sensi della lettera f), dell'art. 2, comma 4 legge 5 giugno 2003, n. 131, sono in procinto di essere oggetto di apposito decreto legislativo. Cio' costituisce un momento insopprimibile di garanzia di correttezza della gestione, come lo stesso giudice delle leggi ebbe modo di affermare in piu' occasioni (vedi infra). e) E' d'uopo ricordare che, anteriormente alla sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1966, il conto del tesoriere dei comuni e delle province veniva sottoposto al giudizio dei consigli di prefettura, previa approvazione da parte del consiglio comunale o provinciale, ai sensi dell'art. 310, quarto comma, del testo unico della legge comunale e provinciale n. 383 del 1934. Il giudizio sul rendiconto degli enti locali aveva allora ad oggetto non soltanto la gestione del tesoriere, ma anche il conto consuntivo dell'ente locale, e riguardava, pertanto, sia i fatti di gestione della tesoreria, sia i fatti di gestione degli amministratori. A seguito di tale sentenza, la competenza passo' alle competenti sezioni del contenzioso contabile della Corte dei conti, ma si affermo' in via meramente giurisprudenziale un orientamento secondo cui la stessa Corte avrebbe potuto far valere, attraverso una chiamata in giudizio iussu iudicis, la eventuale responsabilita' patrimoniale degli amministratori. E' fin troppo evidente che tale giurisprudenza non ha oggi piu' fondamento alla luce dei principi innovativi introdotti con l'art. 111 della Costituzione, per cui il giudizio deve essere limitato alla sola pronuncia oggettiva sulla affidabilita' dei risultato finanziano. f) Come istituto di giurisdizione oggettiva, il giudizio in questione puo' essere ritenuto strumento fondamentale di garanzia della certezza dei dati contabili e della correttezza delle gestione e anzi che interferire con le funzioni della oggi denominata sezione delle autonomie verrebbe a costituire importante strumento di supporto e completamento della sua funzione, in quanto il referto di questa si baserebbe su dati resi piu' affidabili dall'intervenuta pronuncia di regolarita', che auspicabilmente dovrebbe avere luogo in termini estremamente ristretti. Del resto questa e' anche la chiara volonta' espressa dal legislatore che ha introdotto il termine quinquennale per la relativa pronuncia (art. 1 della legge n. 20/1994). 4. - Sulla base delle predette considerazioni, sembra a questo giudice che si possa ripropone, alla luce anche delle prospettate riforme federaliste e costituzionali, la questione di costituzionalita' delle norme che hanno ristretto l'intervento del giudice contabile nella materia alla sola gestione di cassa. Infatti, la sottrazione del conto consuntivo al giudizio necessario di conto appare in contrasto con l'art. 103, secondo la lettura a questo data dalla Corte costituzionale (nelle sentenze nn. 68/1971; 63/1973; 114/1974; 129/1981; 185/1982; 189/1984; 1007/1988) e dalla Corte di cassazione (per tutte cfr. ss.uu. sentenze nn. 2616/1968; 3375/3384 del 19 luglio 1989); entrambe, infatti, hanno affermato da un parte che la norma predetta, nel riservare alla Corte dei conti le materie di contabiita' pubblica, sotto l'aspetto oggettivo, ne ha confermato la nozione tradizionalmente accolta, comprensiva del giudizio di responsabilita' e del giudizio di conto, e dall'altra che questo costituisce insopprimibile momento di garanzia della correttezza della gestione degli amministratori degli enti locali a tutela dei contribuenti. In particolare, nella sentenza n. 114 citata si afferma che e' principio generale del nostro ordinamento il necessario assoggettamento del pubblico denaro (proveniente dalla generalita' dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni) al giudizio necessario di conto; infatti «a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia comunque maneggio di denaro e valori di proprieta' dell'ente e' consentito sottrarsi alla garanzia costituzionale della correttezza della gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto giudiziale». Tali principi sono stati confermati con la sentenza n. 1007/1988 citata della Corte costituzionale che ha ritenuto illegittimo l'art. 122, primo comma, del d.l. del presidente della regione siciliana del 29 ottobre 1955, n. 6, convalidato con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16, per contrasto con l'art. 103, nella parte in cui si attribuiva al consiglio comunale il potere di deliberare in conto consuntivo con effetti sostitutivi della decisione della Corte dei conti: da tale sentenza si evince in maniera chiara che cio' che deve essere sottoposto a giudizio e' non solo il conto di cassa, ma il conto consuntivo, sottoposto a giudizio e' non solo il conto di cassa, ma il conto consuntivo, e cio' corrisponde ad un «principio fondamentale dello Stato di diritto», recepito dall'art. 103. 5. - In piu', vi e' un altro motivo per rilevare la non manifesta infondatezza di un conflitto rinnovato tra i principi ivi confermati e la scelta legislativa di limitare la cognizione al conto del tesoriere: a legislazione vigente non vi sono altre opzioni adeguatamente praticabili per dare seguito ai rilievi formulati con riferimento a profili che, appatenendo solo per riflesso al conto del tesoriere, impingono piu' specificamente al conto finanziario dell'Ente dato che risulta mutato il quadro complessivo della disciplina dei controlli per la finanza locale, quale si e' determinata a seguito di interventi legislativi medio tempore intervenuti, segnatamente quelli connessi alle leggi Bassanini, non ultima la abolizione dei CO.RE CO. Ma a fronte di una diminuita estensione e intensita' dei controlli, si registra per adverso una acuita necessita' di tenere in regola i conti della finanza locale, derivante non solo dalla contingente criticita' della situazione economica nazionale, quanto anche dall'assunzione del nostro Paese di vincoli e impegni particolarmente rigorosi a livello nazionale e in sede internazionale o piu' propriamente sovranazionale in relazione all'adesione dell'Italia all'Unione europea e alla Moneta Unica. Sotto il primo aspetto, non si puo' non richiamare alla memoria la portata innovativa della disciplina introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001 nella materia finanziaria e la successiva normazione primaria in tale ambito. Basti considerare che l'art. 29 della legge n. 289 del 27 dicembre 2002 ha disciplinato il patto di stabilita' interno per gli enti territoriali. Tale normativa ha infatti disposto che ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica, ciascuna regione a statuto ordinario, ciascuna Provincia e ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti concorre alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica - per il triennio 2003-2005 (adottati con l'adesione al patto di stabilita' e crescita, nonche' alla condivisione delle relative responsabilita' ) - con il rispetto delle disposizioni normative emanate in virtu' e per effetto dei principi fondamentali che sottendono il coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117 e 119, secondo conma, della Costituzione. Basti considerare, in questa sede, che e' statuito che il disavanzo finanziario, di ciascuna provincia e di ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti, non puo' essere superiore a quello risultante dall'applicazione, al corrispondente disavanzo finanziario del penultimo anno precedente, di una percentuale di variazione definita, per ciascuno degli anni considerati, dalla legge finanziaria. Ad esempio, in prima applicazione, per l'anno 2005, la percentuale era fissata nel 7,8 per cento rispetto al 2003. Questa stringente disciplina affida fondamentali compiti di verifica di raggiungimento di tali obiettivi, nell'ambito degli enti locali, non ad organi esterni bensi' al Collegio dei revisori. In piu' occasioni, anche da parte della Ragioneria generale dello Stato e' stato posto l'accento sull'esigenza del rispetto dei principi di cui all'art. 119 della Costituzione, secondo il quale «comuni, province, citta' metropolitane e regioni ... possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese d'investimento». E' precisamente in considerazione delle norme ricavabili dall'art. 119 delola Costituzione che il raccordo della finanza statale con quella degli enti territoriali che occorre dimensionare correttamente le funzioni attribuite ad organi terzi ed esterni, quali la Corte dei conti, non solo e non tanto in funzione di deterrenza verso le patologie o di sanzione, ma specificamente di garanzia (per lo Stato e per gli amministratori locali) della veridicita' e dell'attendibilita' delle poste in bilancio, in assenza delle quali l'attuazione dell'art. 119 della Costituzione appare impraticabile. Ma la nforma del Titolo V della Costituzione, se per un verso riconosce la piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali, per l'altro, attribuise espresso rilievo ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, che, nell'ambito della politica di bilancio, sono costituiti da regole sui saldi, alle quali si connette anche la previsione di sanzioni. I vincoli derivanti dalla appartenenza all'Unione economica monetaria comportano l'attribuzione a livello statale della responsabilita' in ordine sia alla determinazione degli obiettivi finanziari validi per il complesso delle amministrazioni pubbliche, sia al conseguimento dei saldi prefissati e, in generale, al rispetto delle regole stabilite dal Trattato CE e dal Patto di stabilita' e crescita. Il rispetto di tutti questi vincoli, in un quadro di potenziamento delle autonomie territoriali, non puo' ragionevolmente essere realizzato con una gestione accentrata, statale, di tipo imperativo. A conferma di cio' e' recentemente intervenuta la pronuncia con la quale la Corte costituzionale ha giustamente affermato (Sent. n. 417/2005) l'illegittimita' di disposizioni statuali che intervengano con «tagli» nella finanza regionale rapportati a singole voci di spesa. La natura di bilancio misto del conto di gestione dell'ente, la impossibilita' di rilevare gli impegni o gli accertamenti, non essendo inseriti nel conto del tesoriere, anche per la verifica di obblighi imposti normativamente allo stesso (rispetto dei limiti di pagamento, limiti alle anticipazioni di tesoreria etc.) oltre che gli scostamenti anomali' tra riscossioni ed accertamenti ritardi od omissioni nei pagamenti al fine di creare artificialmente un avanzo di cassa tale da influenzare il risultato di amministrazione (anche atuaverso la allocazione fuori del bilancio di spese cui non si puo' far fronte) rende le citate norme limitative contrastanti con ogni principio di ragionevolezza e quindi con l'art. 3 della Costituzione, dato che il conto del tesoriere e' solo la parte esecutiva del bilancio. 6. - Cio', ad avviso del Collegio, comporta la necessita' di riespandere alla sua fisiologica area di cognizione lo specifico strumento del giudizio di conto, che appare strumento compatibile con l'assetto delle autonomie siasotto il profilo funzionale (provenendo dal potere giurisdizionale) sia sotto quello territoriale (grazie al radicale decentramento attuato dalla Corte dei conti nell'ultimo decennio). Ne' puo' ritenersi equivalente l'attribuzione con l'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, (recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) alla Corte dei conti della funzione di referto (arricchita con le aceresciute competenze conferite dalla legge finanziaria del 2006, artt. 166 e seguenti) in ordine agli andamenti complessivi della finanza locale ed al rispetto del patto di stabilita' e dei vincoli U.E. Sia poi sufficiente accennare che l'assenza di' sanzioni (come e' stato anche recentemente sottolineato da autorevole dottrina) sembra legittimare in molti casi le Amministrazioni a non tener conto dei rilievi formulati. E d'altro canto forse non e' un caso che la sanzione prevista dall'art. 248 comma 5 del citato decreto legislativo n. 267/2000 per gli amministratori ritenuti responsabili del dissesto finanziario non risulta sia mai stata applicata: verosimilmente cio' discende anche dalla presenza dei limiti introdotti nel giudizio di conto in questione; senza considerare che sembra rispondere maggiormente a criteri di ragionevolezza l'esigenza di prevenire il dissesto attraverso la verifica delle violazioni della normativa contabile nel loro matuurarsi. Anche sotto tale profilo si evidenzia il contrasto con l'art. 3 della Costituzione di una normativa che mentre vuol sanzionare il dissesto preclude alla Corte dei conti la possibilita' di verificare le poste di bilancio esercizio per esercizio, rettificando, se del caso, il risultato di amministrazione. 7. - Riassumendo le suesposte considerazioni, non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme limitarive della giurisdizione della Corte dei conti sui conti giudiziali quali attualmente vigenti a seguito della sostanziale trasfusione delle disposizioni della legge n. 142/1990 nel T.U. 267 del 2000. Cio' contrasta, come gia' ampiamente illustrato supra, con il principio della non arbitrarieta' e irragionevolezza dell'operato del legislatore ordinario (art. 3 della Costituzione); con il rispetto degli impegni assunti nei confronti delle organizzazioni sopranazionali alle quali lo Stato italiano ha aderito (art. 11 della Costituzione); con il rispetto sostanziale del limite minimo, posto al legislatore anche nell'esercizio di una sua legittima interposizio, nella modulazione delle attribuzioni costituzionalmente attribuite alla Corte dei conti (103 della Costituzione); con i principi del raccordo della finanza statale con quella degli enti territoriali (art. 119 della Costituzione).